Sunday, May 8, 2011

"Primi Poemetti"


LA NOTTE


I


Nella notte scrosciò, venne dirotta
la pioggia, a striscie stridule infinite;
e il tuono rotolò da grotta a grotta.

Egli, il capoccio, avvolto nel suo mite
tacito sonno, non udiva. Udiva
nascere l'erba. Vide le pipite

verdi. Il grano sfronzò, quindi accestiva.
Nevicava, in suo sogno, a fiocco a fiocco:
candido il monte, candida la riva.

No: quel bianco era fiori d'albicocco
e di susino, e l'ape uscìa dal bugno
ronzando, e il grano già facea lo stocco:

Anzi graniva; ch'era già di giugno.
La cicala friniva su gli ornelli.
Egli l'udiva, con la falce in pugno.

L'acqua veniva stridula a ruscelli.

I


L'acqua veniva, stridula, a ruscelli.
Rosa dormiva e non udiva: udiva
cantare al bosco zigoli e fringuelli.

Era nel bosco, nella reggia estiva
del redimacchia. Intorno udìa beccare.
gemme di pioppo e mignoli d'uliva.

E la macchia pareva un alveare,
piena di frulli e di ronzìi. Ma ella
sentiva anche un frugare, uno sfrascare,

un camminare. Chi sarà? Ma in quella
che riguardava tra un cespuglio raro,
improvvisa cantò la cinciarella.

E sonò d'ogni parte il bau bau chiaro,
come un tintinno, delle cincie; ed ecco
pronto all'orecchio risonar lo sparo.

Ma era un tuono, che rimbombò secco.

III


E tra il tumulto carezzò Viola
che s'era desta e che piangea. Pian piano
l'addormentava. E Rosa rifù sola.

Pensava... i licci della tela, il grano
della sementa, il cacciatore... e Rosa
lo ricercava. Dove mai? Lontano.

In una reggia. E risognò... Che cosa?


Primi Poemetti è il suo secondo libro ed è consacrato alla sua sorella Maria," dolce sorella: c'è stato tempo che noi non eravamo qui? che io non vedevo, al levarmi, la Pania e il Monte Forato?" 
I temi in questo libro riguardano delle nature, i misteri e le solidarietà del reietto.  In "La notte" lui describe la natura in molti detagli. 

"Poesie Varie"

VII

LA GATTA


Era una gatta, assai trita, e non era
d'alcuno, e, vecchia, aveva un suo gattino.
Ora, una notte, (su per il camino
s'ingolfava e rombava la bufera)

trassemi all'uscio il suon d'una preghiera,
e lei vidi e il suo figlio a lei vicino.
Mi spinse ella, in un dolce atto, il meschino
tra' piedi; e sparve nella notte nera.

Che nera notte, piena di dolore!
Pianti e singulti e risa pazze e tetri
urli portava dai deserti il vento.

E la pioggia cadea, vasto fragore,
sferzando i muri e scoppiettando ai vetri.
Facea le fusa il piccolo, contento.
Massa, 1885.

La Gatta è una poesia nel libro di "Poesie Varie", che ha diverse poesie ma in nessun moda di ordina. Questo libro in particolare è stato pubblicato da sua sorella, Maria, come un tributo a lui. Mi piace questa poesia perché è semplice, carina, e mostra anche il suo amore per la natura e per gli animali. È facile di leggere e di comprendere. Mi piace la maniera come mostra che sente attraverso le sue parole, "Che nera notte, piena di dolore."  Il gatto nero è molto simbolico perché per una persona superstiziosa significa la sfortuna e Pascoli ha avuto molta sfortuna nella sua vita. 

"Canti di Castelvecchio"


La cavalla storna


Nella Torre il silenzio era già alto.
Sussurravano i pioppi del Rio Salto.

I cavalli normanni alle lor poste
frangean la biada con rumor di croste.

Là in fondo la cavalla era, selvaggia,
nata tra i pini su la salsa spiaggia;

che nelle froge avea del mar gli spruzzi
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.

Con su la greppia un gomito, da essa
era mia madre; e le dicea sommessa:

«O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;

tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
Egli ha lasciato un figlio giovinetto;

il primo d’otto tra miei figli e figlie;
e la sua mano non toccò mai briglie.

Tu che ti senti ai fianchi l’uragano,
tu dài retta alla sua piccola mano.

Tu ch’hai nel cuore la marina brulla,
tu dài retta alla sua voce fanciulla».

La cavalla volgea la scarna testa
verso mia madre, che dicea più mesta:

«O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;

lo so, lo so, che tu l’amavi forte!
Con lui c’eri tu sola e la sua morte.

O nata in selve tra l’ondate e il vento,
tu tenesti nel cuore il tuo spavento;

sentendo lasso nella bocca il morso,
nel cuor veloce tu premesti il corso:

adagio seguitasti la tua via,
perché facesse in pace l’agonia...»

La scarna lunga testa era daccanto
al dolce viso di mia madre in pianto.

«O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;

oh! due parole egli dové pur dire!
E tu capisci, ma non sai ridire.

Tu con le briglie sciolte tra le zampe,
con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,

con negli orecchi l’eco degli scoppi,
seguitasti la via tra gli alti pioppi:

lo riportavi tra il morir del sole,
perché udissimo noi le sue parole».

Stava attenta la lunga testa fiera.
Mia madre l’abbracciò su la criniera

«O cavallina, cavallina storna,
portavi a casa sua chi non ritorna!

a me, chi non ritornerà più mai!
Tu fosti buona... Ma parlar non sai!

Tu non sai, poverina; altri non osa.
Oh! ma tu devi dirmi una una cosa!

Tu l’hai veduto l’uomo che l’uccise:
esso t’è qui nelle pupille fise.

Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
E tu fa cenno. Dio t’insegni, come».

Ora, i cavalli non frangean la biada:
dormian sognando il bianco della strada.

La paglia non battean con l’unghie vuote:
dormian sognando il rullo delle ruote.

Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:
disse un nome... Sonò alto un nitrito.


La Cavalla Storna è un poema sopra la morte de suo padre. Lui le parla alla cavallina che tirava il trasporto con suo padre il giorno che suo padre è stato ucciso. Sua madre parla al cavallo dicendo sfortunatamente che il padre ha lasciato un giovane figlio il primo di otto bambini che ha avuto incapace per salutare e non potendo mai vedere che i suoi bambini crescono. Il cavallo era il solo testimone all'assassinio di suo padre, ma non sapranno mai perché il cavallo non può parlare. Gli chiedono di dire chi era, e chiede Dio di consentire che il cavallo parlare. Alla fine della poesia, la madre di Pascoli dice il nome della persona che ha ucciso lui ma nella poesia loro non dice il nome reale. L'assassinio era politico o finanziario ed è pensato che la famiglia ha avuto un sospetto di cui l'assassino era ma non hanno avuto prova per condannarlo.

"Canti di Castelvecchio"





 Canti di Castelvecchio e dedicato alla sua madre Caterina Allocatelli Vincenzi che è morto dei giovani età  di malattia. Il libro era pubblicato nel Aprile di 1903 e come Myricae questo libro ha molte versioni ed ogni versione ha sempre più poesie in loro. La maggior parte delle poesie riguardano la perdita della sua famiglia, la natura e la vita. Qui abbiamo Nebbia, che accordo a Giuseppe Nava "Però domina non tanto l'elemento atmosferico-tonale quanto piuttosto l'invocazione del poeta alla nebbia perché circoscriva il suo orizzonte visivo all'immediato presente di natura, lavoro e poesia, escluendo i fantasmi ossessivi di un passato di morte e il rovello di passioni e ambizioni ad esso legato". Pascoli usa la nebbia per nascondere delle cose nella sua vita che causa lui addolorano. Ha delle visioni di fantasmi della sua famiglia che perseguita tuttavia lui, e la nebbia lo nasconde. Nasconde il pasato scuro e consente solo vedere il futuro brillante e la bella natura. La natura è bella e guardare la sua bellezza può fare lei calma e le poi dare pace, Pascoli aveva scritto molte della sua poesia nella sua casa in Castelvecchio dove aveva avuto una bella veduta scenica. Mi piace questa poesia per le immagini che fornisce della natura.

NEBBIA



                                                     Nascondi le cose lontane,
tu nebbia impalpabile e scialba,
tu fumo che ancora rampolli,
su l’alba,
da’ lampi notturni e da’ crolli
d’aeree frane!

Nascondi le cose lontane,
nascondimi quello ch’è morto!
Ch’io veda soltanto la siepe
dell’orto,
la mura ch’ha piene le crepe
di valeriane.

Nascondi le cose lontane:
le cose son ebbre di pianto!
Ch’io veda i due peschi, i due meli,
soltanto,
che dànno i soavi lor mieli
pel nero mio pane.

Nascondi le cose lontane
che vogliono ch’ami e che vada!
Ch’io veda là solo quel bianco
di strada,
che un giorno ho da fare tra stanco
don don di campane...

Nascondi le cose lontane,
nascondile, involale al volo
del cuore! Ch’io veda il cipresso
là, solo,
qui, solo quest’orto, cui presso
sonnecchia il mio cane.

"Myricae"


III

X AGOSTO


San Lorenzo, io lo so perché tanto
  di stelle per l’aria tranquilla
arde e cade, perché sì gran pianto
  nel concavo cielo sfavilla.

Ritornava una rondine al tetto:
  l’uccisero: cadde tra spini:
ella aveva nel becco un insetto:
  la cena de’ suoi rondinini.

Ora è là come in croce, che tende
  quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell’ombra, che attende,
  che pigola sempre più piano.

Anche un uomo tornava al suo nido:
  l’uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido
  portava due bambole in dono...

Ora là, nella casa romita,
  lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
  le bambole al cielo lontano

E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
  sereni, infinito, immortale,
Oh! d’un pianto di stelle lo inondi
  quest’atomo opaco del Male!

Questa poesia riguarda la morte del padre di Pascoli e inizia la sua poesia parlando a San Lorenzo che è morto per andare contro i romani e per avrebbe aiutato alla chiesa. Pascoli usa la natura per descrivere i suoi sentimenti ed i avvenimenti che è accaduto nella sua vita ed in questa poesia usa il rondini e descrive la maniera come è morto mentre provando a nutrire i suoi giovani. La morte di suo padre era molto come la morte di San Lorenzo e degli rondini, loro entrambe di trovare il cibo e provvede o aiutare alla loro famiglia ma non l'ha mai fatto sostiene. La famiglia alla casa attendendo non ha avuto idea di ciò che succedeva e quindi non potrebbe aiutare. Il mondo è pieno di malvagio e la maggior parte di noi è indifeso e non può evitare delle azioni malvagie dall'avvenimento. Descrive il cielo dove uno potrebbe essere infinito ed immortale ed un giorno poi fugasse dal malvagio di questo mondo.  Ho scelto questa poesia perché riguarda la perdita di suo padre che ha consacrata il libro a, "rimangano questi canti su la tomba di mio padre." Mi piace anche perché è una poesia che racconta alle mie proprie paure personali nella vita. Odio per guardare le notizie perché mi fa timoroso di questo mondo. C'è così molto malvagio fuori lì e temo che un giorno sarò la persona alla casa con nessuna idea quanto a ciò che succede e qualcosa orribile succede a un membro della mia propria famiglia. 

"Myricae"


Myricae è il primo libro poetico del Pascoli che lui dedicò al suo padre, Ruggiero Pascoli. Il suo padre fu assasinato quando Pascoli aveva dodici anni, e la persona che ha fatto esso non è mai stata presa.Queste libro fu pubblicato nel 1881 ed include ventidue poesie. C'erano altre edizione di questo libro ed ogni edizione hanno avuto sempre più poesie in loro, e la ultima con 156 poesie. Le poesie di Myricae hanno un tema che ricorre del significato della vita e il mistero di questo mondo e la sua natura. Nel Il Nunzio, per me Pascoli descrive che è solo in questo mondo scuro, confuso con molte domande, le domande della vita o la morte. Forse ebbe domande della morte dei suoi membri di famiglia e perché hanno dovuto morire. In una nota spiega "nel mistero della vita non trovano risposta gli interrogativi che l'uomo si pone," e ciò è perché mi piace questa poesia molto. Sono cristiana ma ho anche avevo domande di questo mondo ma so che non prenderò mai una risposta, dovrei avere appena la fede. Ci sono molte teorie diverse di come abbiamo preso qui, che è il nostro scopo e perché le cose succedono come fanno, chi sa realmente che è la verità. 

VIII

IL NUNZIO


Un murmure, un rombo....

Son solo: ho la testa
confusa di tetri
pensieri. Mi desta
quel murmure ai vetri.
Che brontoli, o bombo?

che nuove mi porti?

E cadono l’ore
giú giù, con un lento
gocciare. Nel cuore
lontane risento
parole di morti...

Che brontoli, o bombo?

che avviene nel mondo?
Silenzio infinito.
Ma insiste profondo,
solingo smarrito,
quel lugubre rombo.